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La Fenice

Aggiornamento: 7 mag

Marta Grima ha raccontato il quadro dell’artista Giada Russo, situato accanto al portone d’ingresso.





Mina posiziona una tela bianca davanti alla finestra in soggiorno, si versa un bicchiere di Pinot grigio, prepara i colori e si siede. Lascia che i raggi di mezzogiorno inondino la stanza, ricordandole i flutti dorati del mare e il cielo aranciato dell’alba, lo sfondo infuocato su cui si stagliava la figura sottile della sua musa ispiratrice: la donna in piedi sulla banchina del porto.

Beve un sorso di vino, socchiude le palpebre e ripensa allo sguardo fiero della giovane, alla veste di cotone mossa dal vento, al sorgere del sole che ha segnato il suo risveglio interiore, il suo rientro a Itaca inteso come ritorno all’essenza più pura di sé.

Mina riapre gli occhi, affonda il pennello nel nero e inizia a tratteggiare una fenice, l’animale che rinasce dalle proprie ceneri, simbolo del ciclo vita-morte-resurrezione.

Accanto le disegna una colonna greca, la casa di Ulisse, culla della civiltà, origine dei suoni e delle parole, raffinatezza estetica ed eleganza di contenuti. La fenice sembra risalire dal basso, sbocciare come un fiore che tende verso l’alto e si lascia dietro il nutrimento da cui è cresciuto: grato per ciò che è stato, ma pronto per un’esistenza nuova.

Mina dà fondo al calice di vino e crea miscele di rosso, azzurro, blu e verde ispirandosi ai quattro elementi naturali, immaginando il viaggio della fenice: forgiata nel fuoco, temprata grazie alla roccia, purificata nell’acqua e ora libera di volare leggera sopra le nuvole. Mina si allontana dal quadro, lo osserva con gli occhi della donna e si riconosce. Sorride, va in cucina e si versa un altro bicchiere di Pinot grigio: adesso è anche lei a casa.

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